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ARTE FIERA 2017: SECRET ZOO, MARCO MINOTTI

ARTEFIERA 2017: SECRET ZOO, MARCO MINOTTI

Si riconferma anche quest’anno la collaborazione di Whitelight Art Gallery con il Poliambulatorio Giardini Margherita in occasione di ArteFiera.

Il prestigioso centro specialistico, con sede nell’ex Convento e Convitto dell’Istituto Figlie del Sacro Cuore del ‘500 – nel centro storico di Bologna – ospiterà la mostra Secret Zoo dell’artista Marco Minotti. Il vernissage, come di consueto, sarà tra gli eventi da non perdere di Art City White Night.

Il segno fitto, fino e aguzzo, preciso e deciso, della penna a biro di Marco Minotti va a scolpire metaforicamente sulla tela corpi di animali mitologici, orwelliani, intrisi di letteratura e storia, antichi, ancestrali, appartenenti ad un immaginario popolar-surrealista, iperrealista.

La rete pittorica di Minotti si manifesta in un mosaico genetico ampio, quasi delirante, i suoi animali sono cacofoniche sintesi chimeriche dalla perfezione formale squisita e coinvolgente.  L’illustrazione animale diventa una metafora in azione, scatenando così molteplici associazioni bizzarre in grado di farci riflettere su una realtà paradossale, una quotidianità esasperata e ancora più grottesca di una fiction.

Come in una parata allegorica, in una sfilata apocalittica, (zebre, asini, polipi, uomini, capre, anfibi, rettili, cavalli, pesci, uccelli, rinoceronti, leoni, insetti, cani, elefanti, mucche) le creature si alternano, presentandosi in maniera ironica e allusiva. I titoli stessi delle opere, composti di parole, mash-up semantici, funzionano come collage o link che rimandano ad altri orizzonti di significanza, o addirittura nuovi, neologismi – zoologismi. (Rinali, Elefaffe, Cavaquila, Rhinouomo, MaiAlata).

“Le creature di fuori guardavano dal maiale all’uomo e dall’uomo al maiale e ancora dal maiale all’uomo, ma già era loro impossibile distinguere fra i due.” Citando il celebre Orwell, i lavori di Minotti si ripropongono come fanta-selfie che ci conducono, a rispecchiarci e rifletterci in quei complessi patchwork zoomorfi. Tra lussureggianti mostruosità si cela la vera tendenza umana, quella spietata, dedita al lucro, una concezione hobbessiana dell’uomo, intrinsecamente bestiale. Lo specchio di Narciso si è infranto e il giardino segreto non regala beltà, ciò che ci viene mostrato è assurdo, ma proprio come Thomas Hobbes affermava: “Il privilegio dell’assurdità, a cui nessuna creatura vivente è soggetta, tranne l’uomo.”

Il dizionario animale di Minotti costellato da creature in trasformazione, trasmutazione, geneticamente modificate, sono più vere del vero, sospese tra sogno e incubo, perturbanti al limite da confondere tra scienza e fantasia, non ci è dato sapere dove inizi l’una e termini l’altra. I protagonisti partoriti dall’artista sono esseri indipendenti che fluttuano in uno spazio fittizio, etereo, quasi virtuale.

Un’antologia dell’ibrido, una favola, una critica blasfema che trova origine in una tradizione antica, fondata sullo studio di scienziati, naturalisti, botanici, entomologi, anatomisti e filosofi alchimisti.

Minotti, studioso e voyeur, come una spugna, assorbe dai vari universi paralleli artistici, dalla letteratura, alla musica, al cinema e assembla, sceglie, setaccia tra diversi input; architetto d’esordio, diplomatosi al Politecnico di Milano, ha esposto in diverse città internazionali, e collaborato con aziende come designer. Erede del “grande mescolamento” in campo artistico proprio degni anni ’80 conferma la sua trasversalità nella scelta e nella trattazione personale di vari temi che propone di volta in volta attraverso il medium pittorico. Da sempre attento e attratto al e dal mondo naturale sceglie di raccontarci con questa esposizione una propria visione critica sull’atteggiamento che l’uomo assume irresponsabilmente nei confronti di un patrimonio che da troppo tempo si spreca e si consuma inesorabilmente.

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